Unità di misura tipografiche

La genialità di questo sistema consiste nel fatto di poter separare completamente il design del carattere in un determinato typeset da ogni concetto di misura assoluta di tale carattere. Senza tale sistema, per ogni dimensione del typeset si sarebbe resa necessaria una tabella che esprimesse in unità assolute lo spazio occupato da ciascun carattere. Questo sistema è tutt’ora utilizzato e la larghezza di ogni carattere codificata in un font digitale è ancora espressa in termini di frazioni di em.

Ad esempio nella codifica di un font nel linguaggio PostScript, si ha qualcosa del tipo:

C 42; WX 500; N asterisk
C 43; WX 833; N plus
C 44; WX 248; N comma
C 49; WX 495; N one
C 50; WX 495; N two
C 66; WX 595; N B
C 67; WX 683; N C

dove C sta per “carattere” ed il numero seguente ne indica il suo codice ASCII; WX sta per width metric e ne indica la larghezza espressa in millesimi di em; N sta per Name ed indica il nome del carattere in inglese. Notare come i numeri (C49 e C50 di tabella) abbiano la medesima larghezza in modo da allinearsi perfettamente se disposti in colonna, mentre gli altri caratteri abbiano normalmente larghezza variabile ed in generale specifica per ogni carattere.

Il sistema Monotype originale e quello in uso oggi nei font digitali differiscono principalmente solo per il numero di unità relative all’em utilizzate. Nei font digitali le unità sono solitamente i millesimi di em. Le specifiche TrueType e OpenType permettono un massimo di 32.000 unità per em ma un range così ampio è di fatto raramente usato nel design dei font. In modo analogo a quanto avveniva anticamente i moderni sistemi di calcolo necessitano di sapere solo la dimensione corrente del typeset utilizzato (in punti, in modo da definire la dimensione di 1 em) e possono poi ricavare l’ampiezza di ogni carattere dalla semplice moltiplicazione della misura di 1 em per la loro misura relativa espressa in frazioni di em.

Spazi tra le lettere

Anche questi spazi sono misurati in unità relative ovvero in frazioni di em. Questo assicura che se ad esempio un font type viene ridimensionato da 12 a 14 punti anche lo spazio tra i vari caratteri venga ridimensionato proporzionalmente alla nuova dimensione assoluta. Un particolare aggiustamento di questo tipo è il kerning: lo spazio tra alcune coppie particolari di caratteri deve essere aggiustato per tener conto di alcuni problemi che possono sorgere dalla forma stessa di tali caratteri. Ad esempio, le lettere nella sillaba To vengono solitamente spaziate meno per “riempire lo spazio” che si crea naturalmente a causa della forma della lettera T. Allo stesso modo le lettere rn devono essere, in alcuni font face, spaziate di più per evitare che si possano confondere con la lettera m. I font digitali comprendono di solito al loro interno una tabella con le informazioni di kerning. Tale tabella è del tipo:

KPX T o -148
KPX T r -130
KPX T u -148
KPX U comma -60

Nella tabella KPX sta per kerning pair metrics e per ogni coppia di lettere significative viene indicato il kerning espresso in millesimi di em: si vede ad esempio come lo spazio tra la lettera T e la lettera o debba essere impostato a -148 millesimi di em (il segno – indica che i due caratteri andranno avvicinati); anche se non presente in tabella è ovvio che alcune coppie di caratteri potranno presentare anche valori di kerning positivi ossia essi andranno distanziati maggiormente.

Ancora una volta deve essere sottolineato il fatto che l’uso di unità relative (frazioni di em) permette di avere una tabella valida per qualsiasi dimensione venga poi scelta per rappresentare il font sulla pagina.


Informazioni su Carlo Bazzo 30 articoli
Lavoro da oltre vent’anni nel settore dello sviluppo software, del networking e nella formazione. Ho collaborato, a vario titolo, con Microsoft, IBM, Google su diversi progetti open source e commerciali. Mi interesso di business e marketing strategy.